Leone d’Argento 2015
Biennale di Venezia
Leone d’Argento 2015
Biennale di Venezia
Il 3 agosto 2015, il lavoro dell’Agrupación Señor Serrano ha ricevuto il Leone d’Argento per l’innovazione teatrale della Biennale di Venezia in un evento tenutosi a Palazzo Ca’ Giustinian. Siamo molto orgogliosi del premio e crediamo che non sia del tutto immeritato. Tuttavia, non tutti la pensano allo stesso modo. È giusto portare qui la voce dei dissidenti:
“Unica vera delusione del festival gli Agrupación Señor Serrano cui è pure stato dato un Leone d’Argento di cui ci sfuggono i motivi: furbini e maliziosi hanno presentato uno spettacolo in cui la caccia agli indiani d’America, quella di Achab a Moby Dick (con le immagini del celebre film con Gregroy Peck) e la cattura di Bin Laden (reale e “fiction” nel film-Oscar di Katryn Bigelow) vengono messe sullo stesso piano. Su una pedana una serie di modellini del rifugio di Bin Laden in Pakistan, soldatini di plastica e mini aerei: una cinepresa ingigantisce il tutto sul grande schermo come ormai abbiamo visto in molti spettacoli. Ci si mostra l’attacco al rifugio del terrorista islamico, la preparazione militare dell’attacco, un soldato speciale che si prepara, la casa “gemella” costruita in California e quella in Giordania utilizzata per il set della Bigelow. Non si sa dove tutto questo volesse parare da un punto di vista ideologico e politico, se non un po’ banalmente mostrarci l’intreccio fiction/realtà. Sai che novità!”
Anna Bandettini, La Repubblica (16/08/2015).
Debutto, 15 marzo 2019 all’Obertura Spring Festival – L’Auditori.
Produzione tuttora in tournée.
Un seme. Tutto ciò di cui il seme ha bisogno per prosperare: terra, acqua, luce, musica, amore, democrazia, ascolto, sesso, cultura. Un fiore. Degli ideali, un progetto, un piano. La speranza di creare una comunità migliore. L’attuazione del piano. E il suo fallimento. L’umanità, la sua imperfezione, le sue debolezze. L’impossibilità di trascendere. Violenza, fuoco, ceneri. La rabbia, la disperazione. E poi, l’accettazione del fallimento. La tristezza, il lamento malinconico. Una pausa. Un momento di riflessione. E infine, guardarsi, accarezzarsi, baciarsi, sbaciucchiarsi, avere fiducia che tutto possa riemergere. Un seme.
Cosa significa la nona sinfonia? È impossibile sapere quali intenzioni avesse Beethoven quando l’ha composta. Tutto ciò che possiamo fare è estrarre congetture e per farlo dobbiamo tenere a mente il contesto del compositore. Negli ultimi anni della sua vita, Beethoven era già profondamente in sordità e questo fatto lo aveva portato ad allontanarsi sempre più dal mondo, spingendolo verso l’autoassorbimento. Inoltre, Beethoven era stato un appassionato difensore del progetto illuminato e delle promesse di Napoleone. Tuttavia, l’auto-incoronazione come Imperatore del Generale, la sua sconfitta e il conseguente riordinamento dell’Europa dopo la Restaurazione lo avevano portato a diffidare dei grandi progetti politici. E per chiudere il cerchio, a un livello più intimo, le sue continue delusioni amorose lo avevano trasformato in una persona sempre più emotivamente isolata. Eppure quell’uomo in apparenza asociale, disilluso, di brutto aspetto, peggior salute e un atteggiamento che alcuni consideravano misantropico, alla fine della sua vita ritorna dal suo isolamento non con un canto di odio, diffidenza o scetticismo, ma con l’opposto. Con la sua ultima grande opera, Beethoven propone un canto di gioia, di amore, di universalismo, di uguaglianza e fratellanza.
La lettura che proponiamo della nona sinfonia di Beethoven segue la logica dei suoi movimenti. Vediamo nella sinfonia un viaggio che inizia con la speranza messa in un progetto di trasformazione politica e vitale, che passa attraverso la delusione per la mancata realizzazione, che segue con l’accettazione di tale fallimento, e che culmina con una proposta di uscita, un ritorno alla speranza iniziale, ma modificata da quanto appreso nel processo.
Creazione: Àlex Serrano, Pau Palacios e Ferran Dordal / Performance: Àlex Serrano, Jordi Soler e Vicenç Viaplana / Design delle luci: Cube.bz / Scenografia: Lola Belles e Àlex Serrano / Costumi: Lola Belles / Grafica: Gemma Peña / Videocreazione: Jordi Soler / Videoprogramazione: Vicenç Viaplana / Performer invitati: Núria Guiu, Pablo Rosal, Agnès Jabbour, Marc Cartanyà, Arantza López, Malcolm McCarthy, Anna Serrano, Tamara Ndong, Jofre Carabén van der Meer, Babou Cham e Raphaëlle Pérez / Consigliere musicale: Roger Costa Vendrell / Reggia tecnica: David Muñiz / Capo della produzione: Barbara Bloin / Produzione esecutiva: Paula Sáenz de Viteri
L’Auditori de Barcelona per Obertura Spring Festival 2019